Realtà #1 : Contro il “matrimonio”, per il matrimonio.

I “moderni” li chiamiamo, i “giovani”. Le nuove generazioni, senza basi e senza nulla.

Quante volte le definizioni non definiscono anzi restringono e selezionano, e da un multicolore tessuto di persone diversissime come mai, accomunate solo dall’età, si raccoglie un solo fascio, da etichettarsi «nuovo» o «non autentico» o «vuoto».

Parlo della mia generazione, considerata un giocattolo impazzito di urla e accomodamenti, ma che in realtà è un’anima esile che non mette grasso alla sua identità e resta invisibile sotto le definizioni.

Quante bocche grinzose biascicano giudizi dicendoci snaturati, senza fede o sostanza, ed un concetto svetta su tutti, perché negazione di un mondo: il matrimonio.

Quel che un non-giovane non vede è il permanere di tutto il loro mondo dentro di noi, che non siamo né sovversivi, né senza radici, né innovatori. La difficoltà e l’essenza di una persona tra i venti ed i trenta anni oggi è la sintesi. Forse ci rendiamo conto come mai di tutto un passato che grava e scalda le spalle, e su ogni questione, su ogni interrogativo, il passato ci chiede un giudizio: «tu cosa faresti? come avresti fatto?».

La questione della famiglia, del matrimonio – io direi dell’amore in generale – è uno tra i campi dove si combatte di più; e tali conflitti non sono più per le strade, nelle aule istituzionali, non illudiamoci, non sono problemi civili ma personali, avvengono dentro di noi, tra eserciti schierati di giudizi contrastanti e confusi ideali.

Ecco allora palesati le due conseguenze del relativismo: perdita di significato delle definizioni, non essendo più possibili verità (l’unica verità è forse il relativismo stesso, che, attenzione, non è nichilismo); sostituzione della sfera civile con la sfera personale: la Storia oggi non è delle civiltà, troppo frammentate, ma delle personalità, forse già frammentate esse stesse. Stiamo scoprendo come l’agire non ammetta l’unità, ma abbia sempre delle subunità più piccole al suo interno in discussione e contrasto tra loro, come abbiamo scoperto che la materia ha sempre particelle più piccole all’interno di quelle che credevamo “unitarie”.

Se non ci fosse relativismo io non starei scrivendo questo post.

Il matrimonio è uno dei baluardi rimasti in piedi tra tanto passato diroccato, a buona ragione dico io. Ma come ogni definizione non molto disposta ad aggiornarsi è, per i “moderni”, fin troppo restrittiva. La sua definizione o applicazione dovrebbe solo essere l’unione di esseri umani accomunati da forte amore reciproco, dove per amore intendo non solo affinità, accordo, piacere intellettuale e dei sensi, bensì una passione, un’intensità profondamente umana su cui si possa costruire, direi quasi una “emozione edificabile”. Se la maggior parte delle unioni oggi fallisce, e ciò non vuol dire solo lo sfociare nel divorzio ma anche quel trascinarsi scontento e morto in un legame con troppi nodi, è proprio perché ci si intestardisce ancora sulla vecchia definizione di matrimonio: l’unione di due persone, senza tener conto dell’ “edificabilità” di tale rapporto.

I requisiti sembrano essere: età non troppo giovane, personalità matura (che spesso viene confusa con la capacità di alzare la voce ed un bell’impiego remunerativo, e qui la mia rabbia straripa), lavoro stabile, abitazione seria e completa di tutto (senza tralasciare qualche piccolo abbagliante lusso), un fidanzamento che sia già consolidato da qualche anno. Stop. La definizione risente ancora, pesantemente, dell’accordo tra famiglie dei secoli andati, lo scambio di doti, il vantaggio di legarsi con famiglie importanti (oh, un bel dottore, un avvocato!), il “sistemare” la propria prole. Manca solo la celeberrima frase implicita in tutto ciò: «sposatevi ora, poi l’amore verrà col tempo». La cosa fondamentale viene messa in un angolino in favore di un adattarsi vantaggioso che l’età ormai richiede («ormai hai l’età per andare via di casa»), e l’amore? E qui non stiamo parlando di romanticismo sdolcinato, ma della base di cui si parlava prima, senza cui il tutto risulta fallace, come costruire su un terreno argilloso pieno di infiltrazioni.

Quanti giovani vengono aiutati dalle famiglie negli anni di studio o anche dopo? Sposarsi non è più questione di orgoglio, «io so farcela da solo», le condizioni di vita da affrontare (mutui, lavori altalenanti, spese extra) non lo permettono. Sono innumerevoli le coppie che vengono aiutate per molto tempo dalle rispettive famiglie. Allora perché questi moderni non lo diventano davvero? questi giovani perché non palesano, non mettono in chiaro le loro difficoltà e dicono «qui non è più questione di orgoglio e dignità, ma solo d’amore, e per questo soltanto vogliamo sposarci”? perché non impongono questa nuova definizione di matrimonio, una definizione propriamente loro, che sono i veri interessati? A chi ancora obbedire?

C’è tanto di quel falso in queste cerimoniosità, in queste chiese addobbate, in questo fare affinché si venga riconosciuti. Il matrimonio dovrebbe essere qualcosa di intimo, tra le due persone che decidono, innanzitutto per loro, di stare insieme.

Le situazioni che si riempiono di pomposi festeggiamenti son sempre quelle per cui c’è più bisogno di riempitivi, dove manca la sostanza e si cerca di farla passare inosservata tra le mille mostrine e moine. Eppure quanto è visibile, in quelle facce stanche, spossate, annoiate a morte, qua e là tra i tavoli.

Il non-falso starebbe lì dove due persone, anche senza nessuno dei requisiti sopracitati, potrebbero dire forte «noi vogliamo sposarci» e alle domande ad occhi sbarrati «ma perché?» «già?» «e con cosa?» rispondere «perché vogliamo vivere insieme, perché ne sentiamo il bisogno». E allora, solo allora, ci sarebbe più verità e meno relativismo, e non ci sarebbe bisogno di scrivere post come questi!